venerdì 20 dicembre 2013


PHILOMENA

 

Ho assistito al film Philomena, appena uscito nelle sale italiane, e l’ho trovato molto bello, commovente e profondo.

L’interpretazione dei due protagonisti è ottima e raggiunge punte altissime in Judi Dench, dopo pochi minuti ci si dimentica del suo volto inesorabilmente segnato dal tempo e si resta ipnotizzati dalla profondità espressiva dei suoi occhi.

La storia è commovente senza mai diventare patetica; l’argomento della fede religiosa è toccato in maniera forte senza però mai cadere nel giudizio sommario.

Il disonore della gravidanza fuori dal matrimonio nell’Irlanda cattolica degli anni ’50 è trattato con molta delicatezza.

Il comportamento delle religiose è condannato senza mai cadere nella fustigazione della falsa morale.

La regia è superba, la fotografia stupenda così come la musica e l’ambientazione. 

La storia è vera e i protagonisti sono ancora viventi.

Questo film ha partecipato al Festival del Cinema di Venezia 2013 dove ha vinto solo il premio per la migliore sceneggiatura mentre il Leone d’Oro è andato al film Sacro Gra.

Questo film, pseudo documentario, suscita deboli sensazioni e illustra per grandi linee, senza approfondimenti, la vita delle persone e delle comunità limitrofe al Grande Raccordo Anulare di Roma.

Ora mi chiedo cosa abbia visto la giuria presieduta da Bernardo Bertolucci, regista Premio Oscar, di superiore nel Sacro Gra rispetto a Philomena per giudicarlo miglior film della rassegna.

Quale valutazione abbiano fatto i grandi esperti resterà per me un mistero e spero per loro che non dovranno mai rispondere alla frase di Philomena che più o meno recita così: “Devi rispettare tutte le persone quando sei nella salita, puoi rincontrarle nella discesa”.

 

Donato Ceci

Roma, 20.12.2013

 

 

lunedì 22 aprile 2013


PD: il gigante d’argilla

 Il Partito Democratico sorto, dalla positiva esperienza dell’Ulivo che aveva portato per due volte il centrosinistra al governo del Paese, costituì la realizzazione del sogno delle forze cristiano – social - liberal democratiche di formare un unico e vero partito che rispondesse ai bisogni di tutti i cittadini italiani ma, in particolare di quelli delle classi sociali medio-basse e meno abbienti.
I lavoratori, i pensionati, gli artigiani, i piccoli professionisti per lunghi decenni divisi ideologicamente tra comunisti e democristiani, tra sostenitori della Nato e del Patto di Varsavia, tra liberalismo e socialismo, tra capitalismo e marxismo, finalmente avevano una casa comune dove rappresentare e risolvere i loro problemi.

Il PD doveva simbolicamente rappresentare la fusione nucleare, dove atomi diversi si univano sprigionando un’enorme energia da incanalare verso il benessere e il bene comune.
In realtà, quello che è avvento in questi giorni con l’elezione del Capo dello Stato, sempre restando nella metafora, rappresenta invece la fissione nucleare, dove l’atomo si scinde, ma l’energia che rilascia non si ripercuote beneficamente all’esterno ma fa implodere e distruggere l’atomo stesso.

Il PD aveva in mano tutte le carte giuste per giocare una partita vincente contro gli avversari politici.
Come spesso è accaduto nella storia seppur breve di questo partito, però, i primi avversari non sono stati gli altri partiti e movimenti, bensì le proprie correnti interne, come nella peggiore tradizione democristiana e comunista.

D'altronde già dopo l’elezione del primo segretario nazionale, Walter Veltroni, avvenuta nell’ottobre del 2007, si era assistito a un suicidio politico sorprendente.
Veltroni, appena eletto segretario, dimostrando scarsa visione politica o grande ambizione, si mise subito in movimento preventivando accordi con le opposizioni per studiare riforme legislative e istituzionali ma, in realtà, danneggiando il governo Prodi, già debole di per sé, reggendosi su una minima maggioranza di due voti al Senato sin dalla sua nascita nel 2006.

Inevitabilmente, quel Governo cadde nel marzo del 2008, materialmente per il tradimento di alcune persone e aree componenti l’esecutivo, che in realtà approfittarono principalmente della sconsiderata azione della segreteria del maggiore partito di governo.
Il danno causato da Veltroni al governo, al suo partito e al centrosinistra, comunque, fu ancora più ampio riflettendosi anche su Roma, capitale d’Italia, consegnata alla destra con elezioni anticipate per l’abbandono della sua carica di sindaco.

Come poteva pensare di vincere le elezioni politiche dopo la caduta ingloriosa del governo Prodi?
Veltroni è ancora una figura influente nel PD!

Altro esempio del modo di agire del PD è dato dal caso di Pietro Ichino, sostenitore di una linea diversa da quella del partito sulla legge di riforma del lavoro.
Il PD ha sopportato che Ichino andasse in tutte le maggiori trasmissioni televisive a rappresentare la sua linea, confondendo i cittadini di centrosinistra su quale fosse la vera proposta del partito.

Nessuno ha fatto capire a Ichino, con ogni mezzo compresa l’espulsione, che il PD è un partito democratico non anarchico.
Tutti possono rappresentare le proprie idee all’interno di un partito democratico dovendo, però, poi attenersi alle decisioni della maggioranza, salvo uscire dal partito stesso.

La sopportazione della condotta di Ichino ha portato come frutto il suo schierarsi con il partito di Monti nelle ultime elezioni politiche.
Che dire poi delle concessioni di deroghe su deroghe a Matteo Renzi, assecondando tutti i suoi capricci, dall’adesione allo svolgimento delle primarie fino alla pretesa assurda di partecipare all’elezione del Capo dello Stato?

Era necessario dirgli che lo Statuto prevede quale candidato premier il segretario del partito e, nel secondo caso, che essere sindaco di Firenze non gli dava nessun titolo a grande elettore?
Quale altro sindaco di grandi città come Roma, Milano, Torino, Napoli, Palermo, ecc…, ha partecipato all’elezione del Presidente della Repubblica?

Renzi ha invaso tutti i media con i suoi lamenti e le sue proteste dando un’immagine negativa del partito.
Oggi ancor di più si candida a guidare il partito e il Paese proponendo tempi e modi che invadono anche le attribuzioni del Presidente della Repubblica.

Questa lotta di correnti di potere è emersa in tutta la sua bassezza nella mancata elezione di un Presidente della Repubblica di centrosinistra.
La rielezione di Napolitano è una toppa mal posta non riconosciuta consona da lui stesso e accettata, dopo molti dinieghi, esclusivamente per il bene dell’Italia.

Le soluzioni a portata di mano erano molteplici, bisognava solo decidere quale via politica percorrere e seguirla fino in fondo.
Bersani, diciamolo chiaramente, è stato deludente e sconcertante.

Ha condotto una campagna elettorale tutta imperniata sulla contrapposizione al PDL, ha rifiutato qualunque possibilità d’intesa con quel partito per la formazione di un governo, ha cercato con insistenza un’apertura del Movimento 5 Stelle.
Quando quest’ultima, dopo molti altezzosi rifiuti, è arrivata con la candidatura alla presidenza della repubblica di Stefano Rodotà, uomo simbolo della sinistra, si è completamente girato dall’altra parte, contraddicendo tutto quello che aveva detto per mesi e ha fatto un accordo con Berlusconi per eleggere Franco Marini.

Fallito nelle urne questo tentativo per l’opposizione netta e trasparente di molti grandi elettori del PD, ha fatto una strabiliante nuova giravolta proponendo la candidatura di Romano Prodi, che dire malvisto da Berlusconi e da tutto il PDL è solo un eufemismo.
I grandi elettori, questa volta, all’unanimità hanno accettato la candidatura Prodi salvo può pugnalarla proditoriamente nel segreto dell’urna.

Che partito è questo?
Come ci si può fidare dei suoi impegni presi?

Che rappresentatività può avere chiunque lo guiderà in futuro?
Nessuno ha proposto una seria indagine interna per accertare ed espellere quelli che hanno tradito la linea concordata.

Si continua a pensare di risolvere i problemi con un nuovo congresso facendo finta di non capire che se non si passerà dall’anarchia alla democrazia anche la nuova segreteria fallirà, l’agonia continuerà e Berlusconi prospererà.
Donato Ceci

 

 

 

 
 
 
 

martedì 16 aprile 2013


DIFFICILE TRANQUILLITA’
 

 La giornata era torrida, la temperatura sfiorava i 38 gradi nonostante la leggera brezza proveniente dalla vicina spiaggia.

La piazza era inondata dal sole e gli scarsi passanti cercavano di mettersi al riparo camminando aderenti ai palazzi nella speranza, spesso vana, di catturare i pochi spicchi di ombra.

I tavolini benedetti dall’ombra di uno dei bar che facevano da cornice alla bella piazza, punto centrale della tranquilla isola pedonale, erano come un sogno, un miraggio da raggiungere al più presto.

Un distinto signore di mezza età in tenuta estiva, vestito con un sobrio bermuda multi tasche verde e una luminosa maglietta color arancio, dopo aver acquistato un giornale all’edicola posta ad uno degli ingressi dell’isola pedonale, trascinandosi quasi senza più forze raggiunse uno degli agognati tavoli del bar.

Si lasciò cadere quasi esanime sulla sedia emettendo un profondo sospiro come a significare che la sua battaglia l’aveva vinta, aveva conquistato il suo posto privilegiato con la sua frescura e il venticello che dal mare posto a poche decine di metri arrivava lì seppure riscaldato dai raggi del sole incandescente.

Il signore stette per alcuni minuti in contemplazione del niente cercando di recuperare forze e respiro, poi, rinfrancato, tirò fuori da una tasca dei bermuda un paio di occhiali da vista e iniziò a sfogliare il giornale.

Il suo volto era finalmente disteso e felice di poter leggere in tranquillità il suo quotidiano, ma ecco che, come dal niente, si materializzò una donna dai lineamenti e abbigliamento gitani con in braccio un piccolo bambino che si avvicinò al suo tavolo e gli chiese l’elemosina.

Il signore fece un cenno di diniego con il capo ma la questuante non mollò la presa allungando in avanti la sua mano che impugnava un liso santino.

Il signore decise di non replicare e fece finta di leggere tranquillamente il giornale.

La mossa ebbe effetto, la donna dopo pochi secondi, che a lui sembrarono lunghissimi, se ne andò.

“Finalmente!” pensò il signore “La tranquillità è riconquistata”.

La gioia durò pochissimo perché si avvicinò un ragazzo di colore che portava un borsone a tracolla e un mazzo di calzini in mano che cercava di vendere.

Ancora un volta il signore disse no, ancora un volta dovette subire le insistenze del venditore e ancora una volta attuò la tattica dell’indifferenza che lo portò nuovamente al successo.

Frastornato ma certo che finalmente la sua tranquillità era assicurata, tentò di riprendere la lettura del giornale.

Ma ecco arrivare un venditore di giornali dall’aspetto indiano.

“Questo venditore non mi importunerà.” pensò il signore “Sicuramente vedrà che un giornale già lo posseggo e lo sto leggendo”

La speranza, però, risultò vana: il venditore si avvicinò e gli offrì il suo giornale.

Ormai esasperato e senza più speranza di passare qualche minuto in pace, il signore, senza quasi accorgersene, disse al venditore: ”Ti vendo il mio giornale a metà prezzo, fai un affare non l’ho ancora sfogliato tutto”.

Il venditore rimase sorpreso e perplesso, era la prima volta, probabilmente, che si trovava in una situazione del genere, il suo sguardo divenne interrogativo, poi, improvvisamente con un linguaggio stentato disse: “Dare te 50 centesimi”. Era sicuro, avrebbe fatto un affare, avrebbe rivenduto il giornale quasi a prezzo intero.

Il signore, che aveva fatto la sua proposta d’istinto, per rabbia, senza alcuna intenzione di vendere veramente il giornale, restò a sua volta perplesso e rifletté.

Improvvisamente, nella sua mente avvertì come una rivincita, una vittoria contro i questuanti e i venditori abusivi disturbatori della quiete e disse: “Metti qui sul tavolo i 50 centesimi e prenditi il giornale”.

Lo scambio fu effettuato e tutti e due si incamminarono sotto il sole in direzioni opposte convinti entrambi di aver fatto l’affare della giornata.


Mentre camminava nell’aria afosa, rammaricandosi di aver dovuto abbandonare il suo posto privilegiato al bar, il signore improvvisamente capì che quelli che aveva considerato disturbatori della sua quiete, altri non erano che persone che stavano cercando un sostentamento alla loro povera giornata, sotto il sole cocente come anche nel freddo più pungente.

Al disagio dovuto al gran caldo si aggiunsero, allora, un profondo senso di tristezza e una intima, dolorosa vergogna.

 
Donato Ceci